sabato 20 agosto 2011

INTERVISTA A LORENZO LOMBARDI (di LORENZO RICCIARDI su "FANGORIA")

IN THE MARKET è il tuo primo lungometraggio horror. Che esperienza è stata?

IN THE MARKET è stata una bellissima esperienza. Fare un film non è mai facile, noi l’abbiamo fatto con budget e tempi veramente risicati e per questo ne siamo estremamente orgogliosi. IN THE MARKET è un momento molto importante della mia vita, che mi accompagna da tre anni, ogni singolo giorno. Lo abbiamo scritto, prodotto, girato, montato, promosso e distribuito. Un’esperienza a tutto tondo che mi ha fatto fare le ossa sia in ambito registico che produttivo/distributivo. Sicuramente un tassello indelebile, un’esperienza che porto e porterò sempre con me.

Come e quando è nato il progetto? Se non sbaglio è ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto in Texas.

L’incipit del progetto IN THE MARKET è nato sul set del mio precedente film: LIFE’S BUT. Giravamo una scena all’interno di un supermercato e parlavamo di quanto interessante potesse essere come location. Del fatto che un market è un posto molto grande, pieno di reparti, scantinati, parcheggi esterni e sotterranei, macelleria, celle frigorifere, etc. Ci siamo detti: “Prima o poi dobbiamo girarci qualcosa!”. Così è stato. Infatti, quando, nell’estate del 2007, mentre navigavo su internet cercando curiosità e informazioni sul mito americano, il Texas, la Route 66, m’imbattei su un documento originale della polizia del Texas, che parlava della scomparsa di tre giovani e del ritrovamento della loro jeep di fronte all’ingresso di un market. Mi dissi: “Questo fa veramente al caso nostro!” Sommai questa storia vera con la voglia di girare in un market e venne fuori il pitch di IN THE MARKET.

Nel film è molto evidente il tuo amore per Tarantino, con omaggi più o meno espliciti, per il genere road-movie e pulp, ma anche per film come “Hostel” o “Saw” che negli ultimi anni.

Sono un fan sfegatato di Quentin Tarantino. Se lui chiama “My Master” i nostri Ruggero Deodato e Enzo G. Castellari, io potrei chiamare “My Master” lui. Mi piace molto il suo stile, come imbastisce l’idea per un film, come scrive e dirige. Ho sempre ammirato la figura del regista-autore e secondo me lui la racchiude a pieno. Quindi, quando posso, mi fa piacere citarlo, più o meno velatamente, un po’ come fa lui nelle proprie pellicole. Il road-movie è uno dei miei generi preferiti, specie se “made in USA”. Sono ammaliato da quei campi lungi desertici e dalle macchine decappottali americane. Con IN THE MARKET ho cercato di fare un film particolare, mio, anche se il genere non è per niente intimista. Volevo creare qualcosa che mi piacesse, unire vari stili: dal road-movie al pulp, dall’horror allo psicologico. Mi sono ispirato ai film horror che recentemente mi hanno di più colpito, come “Hostel” e “Saw” e ho provato a creare un film dove la paura non si celava in posti angusti o sperduti, ma bensì in un posto comune e che noi tutti conosciamo: il market.

In un film low-budget e con una storia come IN THE MARKET quanto è importante scegliere la location giusta? Peraltro una location curiosa e in forte antitesi con il genere horror.

Nei miei film mi piace molto prendere per mano lo spettatore e condurlo nella storia con la stessa ottica dei protagonisti; fargli scoprire svolte o colpi di scena allo stesso modo dei personaggi in scena. Rendere il pubblico partecipe come se vivesse nel film dall’inizio alla fine. Non mi piace quasi mai quando lo spettatore è a conoscenza di fatti che i personaggi nel film non sanno, a meno che non sia a beneficio del film stesso. In un film low-budget la location non è tutto, ma è molto importante. Avere poche location serve ad abbattere i costi, a spostare il meno possibile la troupe e l’attrezzatura. Cosa molto utile se si hanno pochi giorni di riprese e un piano di lavorazione molto serrato. In IN THE MARKET la location è protagonista e ho voluto citarla anche nel titolo. Spesso gli horror prendono il nome di dove accadono gli avvenimenti e molto volentieri questi titoli sono altisonanti. Nel mio caso mi piaceva accostare l’horror con una location insospettabile. Il market è stata una location formidabile, poliedrica e accogliente. Lo consiglio vivamente!

Hai anche scritto il soggetto e la sceneggiatura. Quanto è durata la fase di scrittura? Che difficoltà hai incontrato?

La fase di scrittura del soggetto e della sceneggiatura è durata poco meno di un anno, direi intorno ai 9 mesi. Questo processo l’ho portato a termine non da solo, ma insieme ai miei più stretti collaboratori: Eleonora Stagi, N. Santi Amantini e Marco Martini. Trovo che lo scrivere insieme sia molto bello. Un qualcosa che aiuta i rapporti, che ci rende tutti partecipi e crea senso di appartenenza al progetto. In questa fase guardiamo molti film o ci documentiamo con libri e internet. Io perlomeno mi sento come una spugna e sono attratto maggiormente del solito da tutto quello che mi circonda. Un periodo molto recettivo, quello della creazione. Il difficile nello scrivere, non è tanto la sceneggiatura, ma bensì il soggetto. Le azioni, gli avvenimenti in un film sono la trama principale, fondamentale ed è l’atto al quale va dedicato la maggior parte del tempo. Io sono molto puntiglioso e cerco di creare un soggetto molto apio e dettagliato con movimenti dei personaggi, vestiti, scenografie, etc. Secondo me se si scrive bene un soggetto, la fase di stesura della sceneggiatura è molto più facile. Nei dialoghi ci si lascia trasportare dagli avvenimenti descritti in precedenza. Non ho incontrato particolari difficoltà nello scrivere, magari qualche grattacapo in più l’ho avuto per passare da una scena all’altra.

Il risultato finale del film corrisponde a quello che avevi immaginato sin all’inizio o hai dovuto modificare in corsa alcuni aspetti a causa del budget limitato?

La storia e gli avvenimenti sono pressoché quelli immaginati in sceneggiatura. Ho dovuto rinunciare a qualche cosa, per ristrettezze economiche, come ad esempio alle riprese aeree (con l’elicottero) della jeep dei tre ragazzi in viaggio. Ho dovuto tagliare, per motivi di tempo, sennò avremmo sforato coi giorni delle riprese, una scena che narrava il rapporto del Macellaio con la madre e alcune torture, come l’infilzamento di un gancio nella schiena di David. Infine avrei voluto una Mustang o una vecchia Porsche come auto dei rapinatori. Queste sono alcune reminiscenze che così a caldo mi riaffiorano alla mente. Oggi guardando il film, sono molto contento del risultato, anche perché sono consapevole del fatto che è un prodotto indipendente.

Il cast è formato pressoché da attori alle prime armi, ma uno su tutti è il fiore all’occhiello del film: Ottaviano Blitch. Grazie alla sua fisicità e la sua grande capacità interpretativa è riuscito a creare un personaggio che mette davvero i brividi. Quanto è stata importante la sua presenza nella riuscita del film?

Importantissima, anzi fondamentale. Ho voluto sin dall’inizio Ottaviano Blitch nel ruolo de “Il Macellaio”. La sua presenza scenica è indubbiamente impressionante e sconvolgente. Ha una mimica facciale che lascia a bocca aperta. Ho conosciuto Ottaviano qualche anno prima di girare IN THE MARKET sul set di un cortometraggio dove lui recitava come protagonista ed io ero assistente alla regia. Non nascondo che quando scrivemmo la sceneggiatura, sin dal primo giorno, pensammo all’unanimità a lui come villan di turno. Quando gli proposi d’interpretare il personaggio, Ottaviano lesse la sceneggiatura e rimase colpito dalla figura de “Il Macellaio” a tal punto che lavorò molto sull’espressione, sulle movenze, la camminata… Non credo che nessun altro avrebbe potuto interpretare al meglio “Adam”. Devo molto a Ottaviano, per aver regalato un’interpretazione così magistrale e per aver reso unico il personaggio.

Qual è stato il momento più difficile e l’aspetto più complicato da affrontare durante la pre-produzione e soprattutto sul set?

Durante la pre-produzione l’aspetto più difficile è stato sicuramente quello di dar sfogo alle nostre idee, ma sempre avendo il freno del budget, quindi ci auto-censuravamo da soli. Sapevamo ciò che poteva essere realizzato e ciò che invece sarebbe stato impossibile.

Sul set i primi due giorni di riprese sono stati i peggiori. Il set è partito male, a tal punto che volevo bloccare il film. Molto della vicenda è girato su strada, “on the road”. Nelle prime sequenze che abbiamo girato incontrammo problemi gravi con il camera-car, che non funzionava come doveva, era molto pericoloso e rischiammo un paio di volte di ribaltarci. Fortunatamente niente di questo è successo e ci siamo fatti forza capendo il problema e risolvendolo. In quei due giorni che dovevano essere lavorativi, poi alla fine, non portammo a casa neanche un secondo buono di girato, ma per fortuna dal terzo giorno in poi recuperammo tutte le scene perse, anzi riuscimmo addirittura ad avvantaggiarci.

Con che tipo di telecamera avete girato? La qualità delle immagini è davvero ottima.

Abbiamo girato con un modello di telecamera Panasonic full-HD della quale, in Italia, nel 2008, ce n’erano solamente tre esemplari. Pensa che la qualità video che si vede nel film è stata addirittura “sporcata” in fase di post-produzione, con l’aggiunta di molta grana, per rendere il film meno digitale e più vicino all’effetto che dà la pellicola. Sono molto soddisfatto della resa video e audio del film. Gran parte infatti del budget l’ho voluto investire nei parametri tecnici. Volevo poter realizzare un film che non avesse avuto problemi di proiezione al cinema in termini di risoluzione video. Scegliemmo il full-HD perché quell’anno era il miglior formato con il quale girare. In post-produzione ho voluto spingere tanto anche sull’audio, per avere un film in dolby digital 5.1.

Un ruolo importante nella seconda parte del film ce l’hanno gli effetti speciali del grande Stivaletti, davvero molto realistici, sanguinosi e ottimamente realizzati.

Sergio Stivaletti è stata una grande spalla, importantissima per la riuscita del film. Volevamo degli effetti speciali degni di Dario Argento e abbiamo osato… Ho conosciuto Sergio ad un festival, parlammo del lavoro che stavo andando a realizzare e lui si mostrò molto interessato. Mi diede un appuntamento al suo laboratorio di Roma dove gli portai dei bozzetti preparatori degli effetti speciali di IN THE MARKET. Mi diede numerose dritte, sia a livello di ripresa che a livello di realizzazione dell’effetto stesso per raggiungere il miglior risultato possibile. Quando Sergio accettò non potevo credere di averlo al mio fianco sul set e onestamente non c’ho creduto a pieno fino a che non l’ho visto arrivare al Market! Sergio è un mago degli effetti speciali, riesce veramente in pochissimo tempo a realizzare qualcosa di unico e a farlo anche con mezzi risicati. Un grande professionista, che stimo molto e che ha reso il nostro horror degno di chiamarsi splatter.

Lorenzo Ricciardi

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