mercoledì 27 luglio 2011

INTERVISTA A MARCO MARTINI (di SIMONE DI GIAMPIETRO)

Prendiamo il filone del torture-porn: solo violenza gratuita o anche la metafora della follia che può scoppiare in qualsiasi contesto e momento?

Il torture porn è un sottogenere horror che si lega magnificamente col genere splatter. Continua a riscuotere molto successo nelle sale cinematografiche per le caratteristiche che ha, ed anche perché, a mio avviso, le scene vengono portate sempre più allo stremo. Corpi nudi squartati, sadismo nel torturare le persone; scene portate al limite per un pubblico divenuto quasi sadico e masochista, perché la gente ha voglia di vedere, ha bisogno di quell’adrenalina, di provare emozioni forti. Anche nella vita quotidiana i telegiornali non fanno altro che bombardarci la testa con le notizie di omicidi, conviviamo inconsapevolmente con l’horror. Ormai si ha voglia di questo. L’horror, come tutti i generi cinematografici, ha avuto un’evoluzione e sicuramente ne avrà altre per star dietro alle esigenze del pubblico, stando attenti a non cadere nel banale e proponendo una storia sempre più adrenalinica e spettacolare. Posso dire, da parte mia, che sono uno degli sceneggiatori/attori/produttori del film Horror “In the Market”, che è molto difficile quando si scrive una sceneggiatura, creare una storia che abbia situazioni spinte ma non banali. Non volevamo per l’appunto regalare violenza. Ogni film si contraddistingue dalle proprie qualità e una delle nostre è che a differenza degli altri torture-porn come Hostel 2, Turistas, non si sia voluto regalare violenza, ma costruire qualcosa di più complesso, creare una filosofia di vita su un personaggio forte come Adam il macellaio, dove il suo progetto sfocia in una follia omicida; volevamo un horror reale, dove si uccide non per il gusto di uccidere, ma per qualcosa di più. Anche tutti i Saw hanno una filosofia di vita dietro alle uccisioni. Tu sprechi la tua vita e per riaverla devi sacrificarti a costo di morire. L’unico difetto è che, dopo Saw 2 fino all’ultimo Saw, è violenza gratuita, passa in secondo piano la filosofia, il “progetto” per cui devi morire e quindi, a parte la spettacolarità delle morti, non c’è più l’idea brillante per cui era stato partorito il film. Quindi credo che ormai il cinema horror dia più violenza gratuita e la gente, o per lo meno una gran parte di pubblico piace così com’è, anche se non credo che si possa andare avanti così, perché senza una logica si arriverebbe alla saturazione delle idee e si andrebbero a vedere film visti e rivisti.

Secondo te, ci sono frangenti in un film durante i quali “attore” e “personaggio” coincidono perfettamente?

Per quanto ci siano scuole che insegnino in svariati modi l’arte recitativa, credo che l’attore, per essere uno bravo nel suo mestiere, debba imparare a tirar fuori e gestire le proprie emozioni. Quando ha capito come si gestiscono deve solo giocare.

Se gioca, l’attore è padrone del personaggio e può farci quello che vuole; se giochi ti diverti e rendi il personaggio vivo. L’attore oltre a giocare deve essere anche ladro; deve, per costruire un personaggio, attingere, oltre alle sue esperienze di vita, alle altre persone; deve rubare con lo sguardo e farsi sua la personalità degli altri. Secondo me è scontato che ci siano frangenti in cui l’attore e personaggio siano la stessa persona perché, l’attore riflette al personaggio le sue esperienze, e quindi la sua base di uomo, il suo imprinting; poi le camuffa giocando e quindi creando e caratterizzando il personaggio. Conta molto anche l’esperienza perché ho notato, rivedendo “In the Market”, quante altre varianti avrei potuto usare per caratterizzare il personaggio. È stato per me più difficile interpretare la parte horror rispetto all’on the road perché nella prima parte dovevo interpretare me stesso, o comunque un ragazzo che parte per una vacanza, mentre nella parte horror è stato più difficile, perché devi entrare in una situazione mai provata, tenere il personaggio e non calare di concentrazione tra una pausa ed un’altra. È stato massacrante perché sono dovuto rimanere tutta la notte seduto e legato con le fascette ed è facile perdere la concentrazione. Anche Elisa è dovuta restare quasi tutta la notte legata, stesa in intimo sul tavolo. Però per amore del cinema e di questo mestiere non ci fai neanche caso ai sacrifici che si fanno.

Sei rimasto sorpreso dagli effetti speciali di Stivaletti ? Anche tu ne subisci qualcuno, nella seconda parte del film?

Durante le riprese del film “In the Market” ho conosciuto Sergio Stivaletti che mi ha apposto degli effetti speciali su di me. Devo dire che sono rimasto sorpreso, primo, per il suo modo di fare, sempre molto disponibile, attento, professionale nonostante si sia trovato davanti ad una produzione indipendente che non conosceva. Secondo sono rimasto colpito da come creava. Era bello da vedere come con oggetti improbabili riusciva a trasformare e lavorare. Ho avuto la fortuna nel film, di avere più effetti speciali addosso rispetto le altre ragazze come la mano che entra ed esce dal tritacarne, la pancia squartata dove escono le budella ed in più ho dovuto mangiare anche un boccone di coscia di Elisa Sensi alias “Nicole” nel film. Devo dire che era tenera, calda, ma un po’ dolce. La mano è stato l’effetto speciale un po’ più complesso perché ha dovuto chiudere delle dita per poi attaccarci sopra delle falangi di ossa e poi c’ha costruito sopra la carne dilaniata dal tritacarne e per chiudere in bellezza il sangue, tanto sangue. Mentre per la pancia e le budella è stato più facile perché si doveva sovrapporre una pancia squartata sul mio addome e inserirci dentro le budella tutte insanguinate, l’unico problema che si era creato era che si vedeva dalla telecamera un pezzo dell’imbracatura d’acciaio per quando mi appendevano e, per camuffarlo Sergio mi ci aveva sbattuto sopra un pezzo di carta tutto insanguinato. È molto bravo a trovare delle soluzioni immediate, semplici e che rendano bene nel film. Sono orgoglioso di aver collaborato con lui anche perché, sapendo che ha lavorato con uno dei più grandi registi del genere horror italiano, Dario Argento, ha portato valore al nostro film.

Se dovessi difendere il genere horror contro i suoi detrattori, quali argomenti useresti?

Credo che il genere horror non abbia bisogno di essere difeso, a parte quello italiano che sembra ormai sparito dalla circolazione, anche se ce ne sono tanti di film indipendenti o meno, prodotti e mai usciti, oppure espatriati per un pubblico estero. L’horror è anche un genere eccezionale perché anche se non dovesse andare benissimo al cinema comunque si riprende con il video noleggio. È un peccato che si manchi di patriottismo di fronte al cinema italiano che negli anni 50-60 ha fatto scuola al cinema estero. Ormai ci siamo limitati solo al cine-panettone, a qualche commedia, ma i film di genere, quelli belli rimangono sempre nascosti. Ce ne sono di registi bravi in Italia che fanno dei film horror di valore ma non si capisce come mai vengono sempre insabbiati. Io non sono un fanatico dell’horror ma credo che a chiunque tu possa chiedere quali siano i registi horror italiani la maggior parte ti dicono Argento, Bava, Deodato, Fulci; mancano le nuove leve che fanno fatica ad emergere oppure che sono conosciuti ma non hanno la stessa visibilità come Bianchini, Lombardi, … . mi dispiace quando si predilige il cinema americano rispetto al nostro perché sembra che noi non siamo capaci a fare niente. Se i capoccioni che pilotano tutto e decidono cosa farci vedere non iniziano a credere e ad azzardare su di noi, il cinema italiano non potrà mai crescere, noi stiamo solo facendo crescere gli altri. Purtroppo o si è appassionati di un genere e allora si cerca, grazie ad internet film di sconosciuti, che possono essere anche dei buoni prodotti, oppure si rimane inconsapevolmente con l’idea che in Italia non si fa niente.

Parlami liberamente del progetto “Co-producers” con il quale è stato finanziato In The Market.

Il “Co-producers” è un progetto serio, innovativo, che aiuta le piccole produzioni a lavorare, perché firmando il contratto in “co-producers” io presto la mia immagine, se sono un attore, oppure il mio servizio, se sono un elettricista o qualsiasi altra persona che lavora nel film, senza ricevere un compendio prestabilito; cioè, se vi sono degli incassi, vengono distribuiti in base a delle percentuali, alle persone che hanno lavorato nel cast del film. È un azzardo, che puoi fare con persone di cui ti puoi fidare, dove tutti credono nel progetto che si crea. Così è stato concepito In The Market che è stato finanziato maggiormente da noi e anche una piccola parte con l’aiuto di qualche sponsor. Grazie a questo tipo di contratto si sono gettate le basi per dare credibilità al cinema indipendente.

Simone di Giampietro


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