mercoledì 27 luglio 2011

INTERVISTA A ELISA SENSI (di SIMONE DI GIAMPIETRO)

Qual è il tuo rapporto col genere cinematografico dell’horror?

Nella mia vita ho visto “per intero” solo 4 film horror : Alien, 28 Giorni dopo, L’esorcista e il silenzio degli innocenti, questo per dirti quanto il mio rapporto con il genere sia a dir poco conflittuale. Ho provato a guardare Shining, Hostel e The Ring ma non sono riuscita a stare con gli occhi aperti e sinceramente ho sempre interrotto il film perché anche solo “sentire” mi faceva star male. Sono una persona molto suscettibile, ricordo che dopo aver visto un po’ di The ring avevo paura di trovare un’amica putrefatta nell’armadio; ancora oggi quasi all’età di 23 anni non lascio mai penzolare dal letto un piede o un braccio.

È la prima volta che mi viene chiesto di analizzare il mio rapporto con il genere horror, e pensandoci posso dire che l’horror più soft (psicologico) quello che anziché mostrare l’orrore, lo racconta creando una tensione partorita dall’idea di poter assistere a qualcosa di orribile, mi scaturisce maggiormente quel senso di repulsione avversione che in poche parole si chiama paura.

Ma con In the Market è tutto diverso, ricordo la prima volta che l’ho visto: ero ad Ancona alla prima mondiale e durante le scene splatter la gente intorno a me si copriva gli occhi, cercava di non guardare, e chi guardava subiva quella sensazione di repulsione/attrazione; invece io per la prima volta nella mia vita osservavo attentamente ogni goccia di sangue che usciva, ogni lamento, ogni tiratura di nervo: analizzavo se il risultato era credibile, passo per passo ho assistito e partecipato alla creazione di quelle scene e sapendo come erano state create non mi creava nessun senso di orrore.

È paradossale come la mente possa essere influenzata in base alla propria esperienza.

Da attrice esordiente, cosa è stato per te In the market? La realizzazione di un sogno, un’aspettativa, un obiettivo che finalmente ha preso vita?

In the Market è stato ed è tutt’ora una grande esperienza: ho capito attraverso la realizzazione di quest’opera che il cinema è pura espressione della fantasia e molta molta fatica.

La realizzazione di un sogno, ma di un sogno vero: siamo partiti da un’idea e un foglio bianco, ed ora sono qui a rispondere con immenso piacere alla domanda di un ragazzo che si è interessato al progetto; quindi sicuramente posso dire che In the Market è un obiettivo che finalmente ha preso vita.

Da attrice esordiente In the Market mi ha insegnato molto, ho conosciuto modi di preparazione alla scena molto diversi tra loro, come quello di Ottaviano Blitch, Massimiliano Vado, Gloria Coco etc… O degli stessi compagni di jeep, ho capito che avevo bisogno di studiare molto e lavorare non solo sulla dizione e sull’espressione ma sul movimento corporeo. Dal film non si evince molto la difficoltà di non saper dove mettere le mani (il primo problema di un giovane e acerbo attore) e neanche di come camminare per esprimere lo stato d’animo del personaggio che uno interpreta, poiché la prima parte del film si svolge in automobile e nella seconda tra racconti di paura intorno ad una tavola imbandita (piena di cibo da poter manipolare) e poi torture subite da immobilizzati, il movimento è abbastanza limitato, ma il problema c’è. Per questo dopo il film ho deciso di studiare molto duramente per essere in grado di esprimere con tutto il corpo un qualsiasi pensiero di un qualsiasi personaggio, anche molto lontano dal mio carattere.

A te è toccato girare forse la scena più delicata del film. Il tuo personaggio, Nicole, si ritrova assicurato su un tavolo da contenzione, con tanto di legature in cellophan che inibiscono qualunque movimento. E’ stato facile per te recitare quella parte? Ti sei per un attimo immedesimata nella vittima provando terrore? In the market in fondo è tratto da una storia vera…

La tortura è stata una delle scene più lunghe e complicate che abbia mai girato, sono stata legata per 6 ore consecutive al tavolo del macello e il maestro Sergio Stivaletti ha creato gli effetti speciali direttamente sul posto: è stato un lavoro di maniacale precisione mentre la troupe pazientemente attendeva il ciak e la tensione saliva di ora in ora. Ero completamente bloccata mani e piedi, la bocca sigillata, la visuale oscurata dagli occhialini e a coprire l’udito delle grandi cuffie, la mia percezione si riduceva a quella della pelle; ammetto che quando Adam (Ottaviano Blitch) mi ha leccato una coscia i brividi di disgusto erano reali, e solo in quel momento mi sono immedesimata nella vittima provando terrore: ma subito dopo ero troppo concentrata a percepire quando si avvicinava a me per dare dei controscena interessanti, e tirare muscoli e nervi delle gambe e del collo per rendere al massimo il dolore fisico mentre venivo torturata per finta; e all’opposto non lamentarmi e non scuotermi quando la scena si sviluppava in continuità verso David (Marco Martini) il ragazzo torturato nella stessa location.

L’horror porta in superficie l’evidenza “della cosa terribile” oppure oggi come oggi, l’orrore finto (cinematografico) viene usato dai più per ripararsi dall’orrore vero (quello reale).

Siamo ogni giorno bombardati da notizie di massacri, di strani intrighi e macabre uccisioni, immagini di morti, mutilati, torturati, ecc… Forse proprio da quando la televisione ha iniziato a parlare e discutere di queste cose, il pubblico che va al cinema vuol vedere qualcosa di diverso: un horror più leggero, che sia di svago e non di riflessione, quindi più che ripararsi dall'horror vero penso che all'industria del cinema CONVIENE creare dei film carichi di effetti che colpiscano nel momento e che poi non lascino niente. Poiché il PUBBLICO (lobotomizzato dalla televisione) vuole non riflettere… Ma esser stupito comunque da qualcosa... Il famoso effetto speciale!

Invece sono anni in cui il cinema horror potrebbe rivelarci qualcosa di sconvolgente… Magari proprio analizzare e capire perché l’orrore affascina e viene realizzato sempre più di frequente nella vita vera. Forse proprio perché nel tempo con le opere di fantasia di molto registi horror pure l’ immaginazione dell’uomo medio si è aperta ancora di più. Comunque questa è solo una mia considerazione!

Parlami liberamente del progetto “Co-producers” col quale è stato finanziato e realizzato In the market…

Mi dispiace molto ma non so rispondere dettagliatamente a questa domanda, non sono io che mi occupo dell’amministrazione dei contratti, posso solo confermarti che il film è stato realizzato grazie a questo sistema, che dà una grande opportunità come a noi che siamo un giovane gruppo di cinefili di fare film e realizzare come nel nostro caso un sogno, insieme a persone che accettando questa tipologia di contratto credono nel progetto!

Simone di Giampietro

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