martedì 28 giugno 2011

INTERVISTA A LORENZO LOMBARDI (di SIMONE DI GIAMPIETRO)

Tesi di laurea su "Storia del Cinema Horror Italiano" (dalla fine degli anni '80, momento di esaurimento del cinema di genere, al 2011, la rinascita), presso l'Università Cattolica di Milano

Come definiresti il tuo esordio nell’horror con “In the market”?
Fino ad oggi IN THE MARKET è il film più importante che abbia realizzato, quindi ha un posto di rilievo nel mio cuore. È un film che mi ha dato tanto e al quale sono particolarmente affezionato.
IN THE MARKET è anche il mio primo film horror e questo esordio è stato dettato da molteplici “necessità”. Nel corso degli anni, da quando avevo 13/14 anni sino ad oggi, l’horror o comunque il mistero, il soprannaturale, mi hanno sempre affascinato e in tutti i lavori che ho fatto, quando si trattava di realizzare una scena horror, risultava poi quella venuta meglio all’interno dell’intero progetto. Fu così che con il mio gruppo di lavoro WHITEROSE PICTURES decidemmo nel 2007 di mettere mano alla stesura di una sceneggiatura horror, contaminata dai nostri riferimenti cinematografici e non solo. Così nacque IN THE MARKET, un parto lungo e contornato da tanto amore verso questo film ed il cinema in genere.

A due anni di distanza dalla sua uscita, rivedendolo ora cambieresti qualcosa? Oppure “In the market” riassume pienamente gli esiti che ti eri proposto di raggiungere?
Beh, a conti fatti, quando si guarda un progetto con il senno di poi, si vorrebbe sempre cambiare in meglio qualcosa. Vuoi le nuove tecnologie che permettono di fare cose diverse, vuoi la maggiore esperienza sul campo; ma al tempo stesso, alle volte ti fermi a guardare delle scene e ti domandi se oggi saresti in grado di rigirarle alla stessa maniera. Ogni progetto ha i suoi pregi e difetti, ma contemporaneamente è fermo nell’immaginario di chi ci ha lavorato e di chi lo ha visto, per un certo ritmo, per certe movenze o battute, per certi movimenti di camera, musiche, etc.
Una cosa che mi sono permesso di cambiare, è l’affinamento di certi dialoghi, che potevano risultare al grande pubblico un po’ più indigesti di altri. Ho tagliato qualche scena (non quelle horror, logicamente) che rallentavano il ritmo del film, per rendere la fruizione dello spettatore più dinamica.
Sicuramente, uno degli esiti, che ci eravamo prefissati, lo abbiamo raggiunto e superato; questo ci rende molto fieri del nostro lavoro: IN THE MARKET è un film che nasce dalla passione di un gruppo di amici che nel corso degli anni si sono specializzati e sono diventati dei veri e propri professionisti nell’ambito cinematografico. Un film che era una scommessa: poter realizzare un lungometraggio di qualità in periferia, fuori da Roma e con un cast tecnico e artistico con una media d’età molto bassa. Un film low-budget che puntava in alto. Volevamo raggiungere il cinema, la proiezione in sala e per noi non era proprio scontato. IN THE MARKET si è fatto da solo. Lo abbiamo fortemente pubblicizzato e abbiamo creato la nostra casa di produzione e distribuzione: WHITEROSE PICTURES che lo avrebbe accompagnato nel cammino e in tutte le fasi. Dopo svariate anteprime in giro per l’Italia, che sono servite a farlo conoscere e a far incuriosire, oggi il film si appresta ad uscire in sala dal 5 Agosto 2011.

Qual è stata la parte o il momento più difficile durante la lavorazione del film?
Ci sono stati due momenti veramente difficili nella realizzazione di IN THE MARKET. Il primo, qualche settimana antecedente il primo ciak: avevo forti dubbi, paura di non riuscire a portare a termine il film. Avevo una responsabilità molto grande sulle spalle, perché la mia produzione gestiva i nostri soldi, i nostri risparmi, in questa impresa e non volevo che venissero bruciati inutilmente. Poi ci furono due grandi consensi che fecero volare di nuovo in alto le nostre aspettative, perché accettarono di entrare nel cast: Ottaviano Blitch come attore protagonista nel ruolo del macellaio Adam, ma soprattutto, le mani esperte di Sergio Stivaletti che in un film horror fanno veramente la differenza! Sergio accettò di partecipare al film realizzando gli effetti speciali di make-up e di computer grafica in digitale (durante la post-produzione).
Forti di queste due new-entry, partimmo con le riprese del film e i primi due giorni furono veramente devastanti, perché non riuscimmo a portare a casa neanche un secondo buono di girato. Iniziammo il film con le riprese in esterno su strada. Avevamo ipotizzato di realizzare i camera-car in un certo modo che poi risultò complicato e pericoloso. Il che ci costrinse a noleggiare attrezzatura supplementare e ripartire da zero con due giorni in meno nella lavorazione del film. Anche lì, ho passato momenti veramente bui e volevo interrompere le riprese prima che fosse troppo tardi, ma poi la forza della troupe e degli amici mi fecero andare avanti e nel terzo e quarto giorno recuperammo le scene perdute e riuscimmo addirittura ad avvantaggiarci sul piano di lavorazione.

“In the market” è pieno di omaggi, citazioni e ispirazioni. La prima parte porta un chiaro riferimento al cinema di Tarantino, la seconda si riallaccia al filone del torture-porn inaugurato da Hostel. Personalmente, quale senso conferisci a questi richiami?
Inutile dire che sono un ammiratore sfegatato del genere pulp, di tutto il lavoro di Quentin Tarantino e del suo stile inconfondibile. Volevo che IN THE MARKET fosse un film contaminato da vari generi e richiami e volevo omaggiare i registi che più mi hanno influenzato. La prima parte, con stile road-movie, è molto più tarantiniana, soprattutto nei dialoghi e in quello che accade; nella seconda parte abbiamo scene con torture-porn in stile “Hostel” di Eli Roth, ma con un serial-killer che gioca al gatto col topo e filosofeggia, tenendo in pugno le proprie vittime, un po’ come in “Saw” o “Hannibal”. Volevo un assassino potente, che avesse una visione tutta sua del mondo e della morte, che spaventasse per la sua lucidità e freddezza e al tempo stesso avesse una psicologia complessa e a tratti anche ragionevole.

Per quanto riguarda lo script, hai dichiarato di esserti basato su di un fatto realmente verificatosi, e per la precisione in Texas. Premesso ciò, sono noti gli esempi di film che hanno tratto ispirazione da casi famigerati di cronaca nera (Non aprite quella porta, Hostel), e quindi ti domando: ma l’orrore cinematografico, per essere credibile, necessita di un paragone con la realtà mediatica che tutti hanno sotto gli occhi?
IN THE MARKET si ispira al ritrovamento di un “Missing Person Report” della polizia del Texas: un caso irrisolto del 2005. Molti dei film horror di successo si basano su fatti di cronaca realmente accaduti e a questo ci sono varie spiegazioni. In primis la leva che questo fa nel pubblico: il sapere di guardare un film che si basa su una storia vera, rende tutto molto più macabro e credibile. Nel contempo l’assassino risulta spaventoso proprio perché reale. Con IN THE MARKET volevo riallacciarmi ad un certo filone di film, da “Non aprite quella porta” a “Hostel”.
Non credo che l’orrore cinematografico per essere credibile debba necessariamente trovare un paragone con casi di cronaca reali, fatto sta, che se questo accade, secondo la mia visione, può solo che essere un valore aggiunto. Oggigiorno molti film alludono a questo, proprio per una questione di marketing, specie con i mockumentary (da “The Blair witch project” a “Esp”).
Un buon film horror non deve per forza avere riferimenti reali, o perlomeno che siano palesemente dichiarati, vedi “Shining” o i film di Dario Argento. La cosa che secondo me non deve mancare è una buona sceneggiatura con spunti originali e un regista che sappia raccontare bene la suspance.
Purtroppo i casi di cronaca odierni, soprattutto anche italiani, sono spesso più efferati di un film horror e se ci si ferma a vedere un telegiornale ci si domanda se veramente non debbano essere censurati ai 18. Se in tv passano a tutte le ore questi massacri, non abbiamo bisogno più di censura cinematografica. Il mio film è vietato ai 18 anni, ma credo fermamente che non possa essere più scabroso dei casi di Meredith Kercher, Sara Scazzi o Yara Gambirasio, tanto per citare i più eclatanti.
Oramai l’orrore si trova più frequentemente nella vita reale che nei film.

L’horror si sa, è un genere che in potenza può varcare ogni limite. In termini di rappresentazione della violenza e della brutalità, ti sei mai chiesto fin dove è lecito spingersi?
Onestamente questa domanda non me la sono mai posta, anche perché per me il cinema non è soltanto un mezzo spettacolare, ma anche un mezzo per conoscere, spaziare i propri orizzonti: oserei dire uno strumento d’istruzione. Attraverso il cinema si può imparare a rapportarsi con gli altri, la dialettica, la storia, la geografia, la religione, forse poca matematica, ma si può viaggiare il mondo stando seduti su di una poltrona. Sì, si può scoprire anche come uccidere una persona e come nasconderne il corpo. Ogni media va usato con coscienza, ma si può capire anche come eludere un assassino e come combatterlo. Tutto questo va preso con le dovute precauzioni, la realtà non è un film, ma spesso i film si avvicinano molto alla realtà e alle volte la surclassano pure. Il cinema è uno strumento molto potente che nel buio della sala può scuotere gli animi e toccare fino nel profondo.
In un horror, o meglio in un mio horror, mi piace e mi piacerebbe varcare i limiti, sconfinare in qualcosa di mai visto prima e cogliere di sorpresa lo spettatore, spiazzarlo: dal semplice cambio di registro al far credere cose che poi non sono proprio così, dallo sconvolgere con torture nuove o dialoghi taglienti come rasoi.

Il tuo film, come da titolo, ci conduce tra i reparti di un supermarket, un luogo familiare e rassicurante ma che nottetempo si trasforma in un mattatoio, una madhouse con tanto di sadico aguzzino. La follia dorme sotto la normalità? Oppure è la normalità ad essere folle?

Mi piace sempre molto parlare di questo. Del fatto che l’orrore si cela dietro qualsiasi cosa e spesso dietro il falso perbenismo e la bellezza. Una sorta di casa fatta di caramelle e cioccolato, come in “Hansel & Gretel” è il mio market, un luogo atto al consumismo che ci rende tutti succubi. Un luogo tranquillo ed illuminato, dove le nonne portano i bambini mentre fanno spesa, che può nascondere la peggiore delle insidie. Un luogo che può ammaliare e al tempo stesso stregare, proprio come fa con i tre ragazzi di IN THE MARKET che decidono di nascondersi al suo interno per trascorrere la notte.
Credo che l’uomo sia folle in genere; che la follia di ognuno sia celata dietro le buone maniere e l’educazione, ma tolte quest’ultime alla fine siamo tutti sciacalli inconsapevoli, divoratori l’uno degli altri per il solo raggiungimento dei propri scopi. La follia è insita nell’uomo, più o meno celata, ma può esplodere da un momento all’altro. Siamo tutti potenziali assassini o vittime, quindi, secondo me la follia dorme sotto la normalità, ma alla stessa maniera la normalità è ormai malata a tal punto che, se in passato sono esistiti veri valori, oggi sono sempre più unici che rari.

Brevemente, raccontami la vicenda distributiva del film e come è stato finanziato.
IN THE MARKET è un film a basso costo che è stato finanziato da me assieme a Eleonora Stagi, Marco Martini, Elisa Sensi e Sara Lombardi. Molto importante per tenere i costi di realizzazione al minimo è stata la firma da parte di tutto il cast tecnico ed artistico del contratto theCoproducers che ha fatto sì che si lavorasse senza percepire un compenso, ma bensì una percentuale sull’incasso del film. Il film è stato distribuito da WHITEROSE PICTURES che ne ha curato anche la promozione. Abbiamo portato il nome del film e della produzione/distribuzione un po’ in giro per l’Italia e per il mondo: Potenza, Foggia, Ancona, Perugia, Prato, Roma, Torino, Bradford, Rosarito.
Il film si è fatto notare ai festival in Italia, Messico ed Inghilterra e piano piano abbiamo acquisito sempre più piazze dove proiettarlo, sino a fare il grande passo di distribuirlo nazionalmente.

Il successo di Hostel e Saw ha palesemente dimostrato che in Italia, anche tra le file degli spettatori medi, esiste un pubblico amante dell’horror. Detto questo, allora la rinascita dell’horror nostrano sembra una prospettiva tutt’altro che utopica. Sei dello stesso parere?
Il pubblico italiano, quando ci sono buoni film al cinema, li premia sempre; che siano americani o italiani, che siano commedia o horror. È logico che la commedia ed il cartone animato hanno un pubblico molto più ampio e variegato di un film horror e quest’ultimo non potrà mai, proprio per questo, raggiungere incassi al box-office delle dimensioni di “Benvenuti al Sud”, “Che bella giornata” o “Avatar”.
La rinascita dell’horror italiano non è lontana, lo dimostrano i sempre più film che vengono realizzati, soprattutto nell’indipendente, ma che si fanno rispettare e riescono a raggiungere anche la sala. Non so se riusciremo a raggiungere di nuovo i fasti di un tempo; oggi l’offerta cinematografica è molto ampia e purtroppo gestita dalle major che impediscono agli esercenti di far entrare le nuove e piccole distribuzioni.
Comunque in genere i film horror non vanno male al cinema, ma si preferisce non variegare l’offerta e propinare sempre gli stessi generi per standardizzare il pubblico; alla fine le leggi televisive sono poi quelle che dettano anche al cinema. Si punta molto sulla vendita via satellite e via cavo.
Quindi, la prospettiva non è troppo utopica, ma noi registi dobbiamo, come in molti stiamo facendo, darci da fare da soli per far ingrossare la nostra voce e portarla al maggior numero di orecchie possibile.

Ruggero Deodato ha espresso un commento favorevole al tuo “In the market”, definendolo “Un bel saggio di sadismo”. Posso chiederti cosa ne pensi di Deodato e qual è, secondo te, il rapporto tra la vecchia e la nuova generazione italiana di registi dell’orrore?
Ho avuto modo d’incontrare varie volte Ruggero Deodato, di pranzare con lui davanti a delle belle “bistecche grondanti sangue”e di confrontarmi sul cinema di oggi e quello di ieri. Ho assistito al suo fianco alla proiezione di IN THE MARKET a Perugia e a fine spettacolo mi disse che il film era “Un bel saggio di sadismo”, cosa che mi ha fatto molto piacere, perché detto da lui, vale il doppio, anzi il triplo! Mi diede anche numerosi consigli, che ho messo in pratica anche su IN THE MARKET; la versione che lui vide era quella estesa e mi disse di fare dei tagli, che poi ho apportato al film. Mi disse anche: “Sì, ma non normali, con l’accetta!”
Oggi, il film, grazie anche alle sue parole è molto più fruibile e lo devo ringraziare infinitamente per essere stato franco e leale su tutto. Non ha nascosto nessuna sua impressione, ed è così che un vero amico fa!
Credo che Ruggero sia un vero precursore. Un vero cineasta che sa realizzare con poco idee geniali, spingendosi veramente oltre. Il suo “Cannibal Holocaust” è ancora oggi attualissimo e d’impatto, come i film odierni non sono. Stimo molto il suo lavoro.
La differenza sostanziale fra la vecchia e nuova scuola di registi italiani è forse nel budget. Oggi si è abituati a girare anche con veramente poco, prima c’era maggiore possibilità e quindi, il budget che serviva, bene o male, si racimolava. Oggi il digitale, altra sostanziale differenza fra le due generazioni, permette un abbassamento sostanziale dei costi e movimenti di macchina o idee di ripresa diverse (non per Deodato s’intende, che fu il primo ad usare la macchina da presa a spalla alla maniera di “Cannibal Holocaust”). Oggi si possono realizzare soluzioni di montaggio sorprendenti, intrecciando al massimo la storia, o rendendo le scene con un ritmo mozzafiato, dovuto da tagli anche di pochissimi frames.
Resta da dire che la nuova scuola può attingere da quella vecchia e non uguale possiamo dire del contrario: quindi i Deodato, gli Argento, i Bava, i Fulci, etc., possono essere i nostri Maestri, mescolati ad una buona dose d’horror d’oltreoceano.

Hai in cantiere un nuovo film?
Abbiamo cominciato a scrivere dei nuovi incipit, ne abbiamo tre molto interessanti, ma ancora non sappiamo quale sarà il primo a diventare film. Due sono horror e uno drammatico. Entrambi gli horror portano l’orrore dove di solito non c’è, mantenendo un certo filone creato con IN THE MARKET. Logicamente non posso svelare i titoli perché come al solito nei miei lavori il titolo è permeato dell’idea, quindi svelarlo vorrebbe dire anticipare la trama del film. Sono tre progetti ai quali tengo molto e quindi quello che sceglieremo per primo sarà per appeal sul pubblico, per modalità di realizzazione e budget. Staremo a vedere!

Simone di Giampietro

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